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Onestà ed abnegazione dei militi dell’Arma: i martiri di Fiesole - di Generale Gianfranco Milillo

Quando si parla di eroi nella storia dell’Arma dei Carabinieri non ci si riferisce solo ad un caso preciso, come il più famoso riguardante Salvo D’Acquisto, ma a numerosi esempi di uomini esemplari, tra questi i tre carabinieri che 71 anni fa offrivano la loro vita a Fiesole per salvare quella di cittadini ostaggi.

La loro storia si sviluppò negli anni bui della seconda guerra mondiale. Era l’estate del 1944: l’avanzata delle forze alleate mirava alla liberazione di Firenze, mentre i nazisti, al comando del tenente Haus Hiesserich, si insediarono in una villa di Fiesole, punto nevralgico per controllare le strade di accesso a Firenze. Nelle zone intorno ferveva l’attività partigiana a cui prendevano parte attiva anche i carabinieri di stanza a Fiesole, il cui comandante, vicebrigadiere Giuseppe Amico, aveva il comando di una delle due squadre d’azione della Brigata V. Durante un servizio di staffetta per consegnare documenti ai partigiani ci fu un conflitto a fuoco con i nazisti che catturarono un milite. Con difficoltà il comandante riuscì a far credere di essere all’oscuro dell’attività del sottoposto. La situazione, però, peggiorò ulteriormente in seguito ad un bando di arruolamento di tutti gli uomini abili tra i 17 e i 45 anni. Per evitarlo si rifugiarono tra i monti unendosi ai partigiani che furono aiutati anche dalla popolazione civile. Anche il vicebrigadiere Amico fu arrestato, ma riuscì presto a scappare unendosi ai partigiani. I nazisti arrestarono, in questo periodo 10 ostaggi civili minacciando di ucciderli in caso di attentati. I tre carabinieri: Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti rimasti alla stazione di Fiesole furono avvertiti che c’era per loro il pericolo della deportazione. Non riuscendo ad uscire da lì per i numerosi posti di blocco si rifugiarono in una zona archeologica che offriva nascondigli sicuri. Quando i nazisti furono informati della scomparsa dei carabinieri sottoposero ad un duro interrogatorio il segretario comunale ed il ragioniere del Comune minacciando, infine, di uccidere gli ostaggi se i carabinieri non si fossero consegnati spontaneamente. Avvertiti di ciò tramite un sacerdote, anzi il segretario della Curia Monsignor Turini, furono lasciati liberi di decidere cosa fare. A questo punto si rivelò la grandezza dei loro animi, pur essendo al sicuro e potendo rimanere nel loro nascondiglio, il 12 agosto, dopo un colloquio con Monsignor Turini si avviarono verso il comando tedesco e da lì dopo un interrogatorio furono trasferiti in un ex albergo requisito e dopo poche ore vennero posti davanti al plotone di esecuzione.

Venne riferito che anche loro, come Salvo D’Acquisto, prima di essere uccisi gridarono: “Viva l’Italia!”. Il loro gesto li qualifica come eroi perché consapevolmente lasciarono la sicurezza del loro rifugio per offrire la vita al posto di dieci innocenti. Il loro sacrificio ancora oggi si pone alla nostra attenzione ed ammirazione come quello di uomini veri cresciuti nello spirito di onestà ed abnegazione dei militi dell’Arma.

Generale Gianfranco Milillo

Onest�� ed abnegazione dei militi dell���Arma: i martiri di Fiesole - di Generale Gianfranco Milillo